MARIA VALTORTA - Ev. cap 587: Sabato prima dell’ingresso trionfale in Gerusalemme. L’addio a Lazzaro

SETTIMANA SANTA: VICINI A GESU' CON MARIA VALTORTA
Evangelo cap. 587
Sabato prima dell’ingresso trionfale in Gerusalemme. L’addio a Lazzaro
2 marzo 1945.
Gesù è a Betania. È sera. Una placida sera di aprile. Dalle ampie finestre della sala del convito si vede il giardino di Lazzaro tutto in fiore e, oltre, il frutteto che pare tutta una nuvola di petali lievi. Un profumo di verde novello, di un dolce amaro di fiori fruttiferi, di rose e altri fiori, si mescola, entrando col placido vento della sera che fa ondeggiare lievemente le tende stese sulle porte e tremolare le luci del lampadario del centro, ad un acuto profumo di tuberose, di mughetti, di gelsomini, mescolato in essenza rara, sopravvivenza del balsamo con cui Maria di Magdala ha profumato il suo Gesù, che ne ha ancora i capelli resi più scuri dall’unzione.
Nella sala sono ancora Simone, Pietro, Matteo e Bartolomeo. Gli altri mancano come fossero già usciti per incombenze.
Gesù si è alzato da tavola e osserva un rotolo di pergamena che Lazzaro gli ha mostrato. Maria di Magdala gira per la sala… pare una farfalla attratta dalla luce. Non sa che volteggiare intorno al suo Gesù. Marta sorveglia i servi che levano le splendide stoviglie preziose, sparse sulla mensa.
Gesù posa il rotolo su un’alta credenza, a intarsi d’avorio nel nero del legno lucido, e dice: «Lazzaro, vieni fuori. Ho bisogno di parlarti».
«Subito, Signore», e Lazzaro si alza dal suo sedile presso la finestra e segue Gesù nel giardino, in cui l’ultima luce del giorno si mesce al primo chiarissimo chiarore di luna.
Gesù cammina dirigendosi oltre il giardino, là dove è il sepolcro che fu di Lazzaro e che ora mostra una grande cornice di rose tutte in fiore sulla sua bocca vuota. In alto di essa, sulla roccia lievemente inclinata, è scolpito: «Lazzaro, vieni fuori!».
Gesù si ferma lì. La casa non si vede più, nascosta come è da alberi e siepi. Vi è un silenzio assoluto e assoluta solitudine.
«Lazzaro, amico mio», chiede Gesù rimanendo in piedi, di fronte al suo amico, e fissandolo con un’ombra di sorriso nel volto molto smagrito e pallido più del consueto. «Lazzaro, amico mio, sai tu chi sono Io?».
«Tu? Ma sei Gesù di Nazaret, il mio dolce Gesù, il mio santo Gesù, il mio potente Gesù!».
«Questo per te. Ma per il mondo, chi sono Io?».
«Sei il Messia d’Israele».
«E poi?».
«Sei il Promesso, l’Atteso… Ma perché mi chiedi questo? Dubiti della mia fede?».
«No, Lazzaro. Ma Io ti voglio confidare una verità. Nessuno, fuorché mia Madre e uno dei miei, la sa. Mia Madre, perché Ella non ignora nulla. Uno, perché è compartecipe in questa cosa. Agli altri l’ho detta, in questi tre anni che sono con Me, molte e molte volte. Ma il loro amore ha fatto da nepente e da riparo alla verità annunciata. Non hanno potuto tutto capire… Ed è bene non abbiano capito, altrimenti, per impedire un delitto, ne avrebbero commesso un altro. Inutile. Perché ciò che deve avvenire avverrebbe, nonostante ogni uccisione. Ma a te la voglio dire».
«Dubiti che io ti ami meno di loro? Di quale delitto parli? Quale delitto deve avvenire? Parla, in nome di Dio!». Lazzaro è agitato.
«Parlo, sì. Non dubito del tuo amore. Tanto poco ne dubito che ad esso affido e confido le mie volontà…».
«Oh! mio Gesù! Ma questo lo fa chi è prossimo a morte! Io l’ho fatto quando ho compreso che Tu non venivi e che io dovevo morire».
«Ed Io devo morire».
«Noooh!». Lazzaro ha un alto gemito.
«Non gridare. Che nessuno senta. Ho bisogno di parlare a te solo. Lazzaro, amico mio, sai tu che avviene in questo momento in cui tu sei presso a Me, nell’amicizia fedele che mi desti fin dal primo momento e che non fu mai turbata da nessun motivo? Un uomo, insieme ad altri uomini, sta contrattando il prezzo dell’Agnello. Sai che nome ha quell’Agnello? Ha nome Gesù di Nazaret».
«Nooh! I nemici ci sono, è vero. Ma non può uno venderti! Chi? Chi è?».
«È uno dei miei. Non poteva che essere uno di quelli che Io ho più fortemente deluso e che, stanco di attendere, vuole liberarsi da Colui che ormai non è più che un pericolo personale. Crede di rifarsi una stima, secondo il pensiero suo, presso i grandi del mondo. Sarà invece disprezzato dal mondo dei buoni e da quello dei delinquenti. È arrivato a questa stanchezza di Me, dell’attesa di ciò che con ogni mezzo ha cercato di raggiungere: la grandezza umana, perseguita prima nel Tempio, creduta di raggiungere col Re di Israele, ed ora cercata nuovamente nel Tempio e presso i romani… Spera… Ma Roma, se sa anche premiare i suoi servi fedeli,… sa calpestare sotto il suo sprezzo i vili delatori. Egli è stanco di Me, dell’attesa, della soma che è l’esser buoni. Per chi è malvagio, l’essere, il dovere fingere di essere buono, è una soma di un peso schiacciante. Può essere sostenuta per qualche tempo… e poi… non si può più… e ci si libera di essa per tornare liberi. Liberi? Così credono i malvagi. Così lui crede. Ma libertà non è. L’essere di Dio è libertà.

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