Ep. 202- Papale papale -"Avarizia"

Francesco, udienza generale 24 gennaio 2024
Non è un peccato che riguarda solo le persone che possiedono ingenti patrimoni, ma un vizio trasversale, che spesso non ha nulla a che vedere con il saldo del conto corrente. È una malattia del cuore, non del portafogli.
Le analisi che i padri del deserto compirono su questo male misero in luce come l’avarizia potesse impadronirsi anche di monaci i quali, dopo aver rinunciato a enormi eredità, nella solitudine della loro cella si erano attaccati ad oggetti di poco valore: non li prestavano, non li condividevano e men che meno erano disposti a regalarli. Un attaccamento a piccole cose, che toglie la libertà. Quegli oggetti diventavano per loro una sorta di feticcio da cui era impossibile staccarsi. Una specie di regressione allo stadio dei bambini che stringono il giocattolo ripetendo: “È mio! È mio!”. In questa rivendicazione si annida un rapporto malato con la realtà, che può sfociare in forme di accaparramento compulsivo o di accumulo patologico.
Per guarire da questa malattia i monaci proponevano un metodo drastico, eppure efficacissimo: la meditazione della morte. Per quanto una persona accumuli beni in questo mondo, di una cosa siamo assolutamente certi: che nella bara essi non ci entreranno.
Paolo VI, Angelus 25 giugno 1978
Un segno di questi nostri tempi, in cui il conflitto fra il bene e il male assume un’evidenza drammatica, è quello di Mauro Carassale, un bambino di undici anni, di Olbia, in Sardegna, il quale, vedendo il fratello Enrico, maggiore di lui, preso e sequestrato da violenti rapitori, si offrì da sé, dicendo: «prendete me; mio fratello sta male, vengo io con voi». E così fu. Mauro fu sequestrato. (...) Caro Mauro, tutti ti sono vicini. Tu sei il simbolo, piccolo agnello, della bontà innocente, e la tua vicenda assurge ad esempio per tutti, tutti invitando all’eroismo del sacrificio di sé in favore del fratello sofferente. E quanta cattiveria, quanta avarizia contro di te svela la viltà di cui certi gruppi di concittadini sono capaci. Questo è il mondo in cui viviamo!
Benedetto XVI, incontro con i parroci 26 febbraio 2009
E, d'altra parte, occorre anche parlare con una grande consapevolezza etica, diciamo creata e svegliata da una coscienza formata dal Vangelo. Quindi bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l'avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria. Noi dobbiamo denunciare questa idolatria che sta contro il vero Dio e la falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, «mammona». Dobbiamo farlo con coraggio ma anche con concretezza. Perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostanziati con conoscenze delle realtà, che aiutano anche a capire che cosa si può in concreto fare per cambiare man mano la situazione. E, naturalmente, per poterlo fare è necessaria la conoscenza di questa verità e la buona volontà di tutti.
Giovanni Paolo II, udienza generale 14 settembre 1983
Risulta chiaro dai Vangeli che Gesù andò incontro alla morte volontariamente. (...) Quasi tutte le manifestazioni del male, del peccato e della sofferenza si sono rese presenti nella passione e nella morte di Gesù: il calcolo, la gelosia, la viltà, il tradimento, l’avarizia, la sete di potere, la violenza, l’ingratitudine da una parte, e dall’altra l’abbandono, il dolore fisico e morale, la solitudine, la mestizia e lo sconforto, la paura e l’angoscia. Ricordiamo le parole laceranti del Getsemani: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14, 34); “e in preda all’angoscia, riferisce san Luca, pregava più intensamente, e il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra”.

Пікірлер